Gita al mare di un paziente covid positivo

Storia di ordinaria follia nonostante il grande impegno personale

Inizio dello studio medico, sala d’aspetto con due persone, sento la segretaria che urla «Se sei positivo devi andare a casa e telefonare». Troppo impegnata non esco dalla mia stanza nonostante sia incuriosita. Dopo dieci minuti sento la segretaria arrabbiatissima che urla ancora più forte. Ok, mollo e vado a capire cosa succede: giusto il tempo di vedere qualcuno che sgattaiola fuori precipitandosi dalle scale e la gente in sala d’aspetto e la segretaria indispettiti e borbottanti. Mi raccontano che un paziente, nonostante si fosse dichiarato positivo al tampone del Covid, era stato a studio per comunicarcelo e per sapere cosa fare. Non so, non sanno neanche chi fosse.

Mezz’ora dopo arriva una telefonata: H.K. mi dice che è positivo, spiego quel che deve fare per effettuare il molecolare, non ha email, non ha la macchina. Mi informo sulle condizioni della casa, quanti sono, quante camere, quanti bagni ecc.
Nel frattempo lo studio tende a riempirsi di gente, perché gli appuntamenti saltano e “quelli che non rispettano le regole” ci sono sempre…

Il paziente è straniero e non parla bene l’italiano, inoltre è intimorito e chissà che altro, quindi con molta fatica provo a capire. C’è qualcosa che non va nel racconto, ma anche nei rumori di sottofondo. Trovo il modo di farlo parlare con tranquillità e lui mi spiega: “Sono sotto il portone di casa dove sto abitando, faccio il badante ad una coppia, loro mi hanno fatto uscire e… non so cosa fare!!!

Tanti ohm! Tanti respiri! Il mio cervello è confuso. Decido di attaccare il telefono dopo averlo tranquillizzato, dicendogli che fra mezz’ora mi deve richiamare, ché qualcosa risolverò.
Mi assale una inutile onnipotenza: chiamo i vari numeri dedicati: occupati; chiamo un’assistente sociale (un’amica squisita!) che si prodiga per aiutarmi, nonostante sia in ferie. Si mette in moto un meccanismo colmo di telefonate ed email che mi porta a passare tanto, tantissimo, tempo al telefono a cercare moduli da inviare, a coinvolgere la segretaria e nel frattempo… lo studio è un delirio.

Finale: io sono andata a casa alle 15:30 invece che alle 12:30, ma soprattutto il paziente – dopo mille scempiaggini tipo “i posti negli alberghi dedicati non ci sono prima di due giorni” – è stato indirizzato al pronto soccorso di un noto ospedale romano… che lo ha rifiutato per mancanza di posti in reparto Covid.

Vera conclusione: il paziente è andato a Lavinio da un amico!
La Asl mi ha scritto nel pomeriggio che posso fare richiesta di tampone a domicilio collegandomi al sito della Asl… Alla buon’ora!

Il paziente non l’ho più sentito, spero stia bene, ma certamente non perché la sanità pubblica lo abbia aiutato…