Un dito invisibile

S. è venuto da me perché lavora in nero, è senza documenti validi e il capo gli ha detto che lo avrebbe licenziato se non si fosse vaccinato.
Credo non gli sia chiara la pericolosità della pandemia in corso nel mondo, o forse chissà come se la vive.

Il problema che più mi fa pensare è che non ricordo il suo volto. La mascherina certo fa la sua parte, ma mi torna in mente solo il suo aspetto accovacciato, dimesso, silenzioso, e i suoi abiti sbiaditi di una taglia in più. Sono così presa dal mio lavoro di curare tanto disagio che a volte non ho tempo di guardare le persone come vorrei, mi sono accontentata del suo aver segnato l’anamnesi come “negativa” per fare il vaccino, e non l’ho guardato molto in viso…

Non so quanto bene capisse l’italiano, mi era sembrato di sì, ma non ho aspettato di sentire risposte, ho delegato ad altri.
Per fortuna ho ascoltato la sua accompagnatrice: “Chiede se gli può guardare il piede, da un po’ ha una ferita che non si chiude e gli fa un po’ male.
Gli do il tempo di togliersi quel calzino ed ecco, lì, nonostante l’esperienza di storie brutte e strane, ho deglutito e mi sono fermata vedendo un dito in necrosi e subito dopo una glicemia a 475!! (Normale è sotto a 100). Mi chiedo: “un po’ male”?!

Questo caso mi fa sempre più rimarcare la convinzione che con i pazienti non si può avere un approccio non olistico, dato che la sommatoria delle caratteristiche è sempre maggiore delle singole parti, e non si dovrebbe mai lavorare da soli con loro. La presenza di operatori sociali con cui collaborare è fondamentale.
Senza documenti validi per un malato di tale gravità è sicura l’amputazione oggi di un dito, domani dell’altro: disagio che accumula disagio!