La biga

Arrivano in due. Sono bangladesi, giovanissimi: uno dovrebbe essere l’interprete, ma praticamente non si capisce nulla; l’altro ha una faccia tumefatta e due braccia ingessate. Provano a spiegarci cosa è successo: lavorano al Colosseo, vendono biglietti e souvenir. Soprattutto ci dicono che sono in Italia da due mesi, non hanno documenti e che lavorano in nero sotto gli occhi di turisti e tanta altra gente.

Si sono recati al pronto soccorso dopo l’incidente, ma ora non sanno come procedere.

Il gestore del loro lavoro ha scaricato subito le responsabilità e, dopo un primo accesso disperato in ospedale, ora non sanno come continuare le cure perché nessuno dei due ha capito nulla sul da farsi.

Questo ragazzo non ha preso l’antibiotico, non ha fatto l’eparina per scongiurare il rischio di trombosi, non è andato al controllo radiografico… e soprattutto non sa quando e chi gli toglierà il gesso.

Non riusciamo a capire come sia riuscito a farsi tanto male! Ci sembra di vedere un vago sghignazzamento del suo amico, ci dice che l’altro non ha mai saputo guidare e ha frenato di colpo volando per terra.

Col senno di poi, la parola “biga” loro l’hanno ripetuta molte volte, ma lungi da noi capire che si riferivano al cocchio utilizzato nell’antica Roma con cui effettivamente circolano su Via dei Fori Imperiali per vendere gli oggetti. L’armatura da gladiatore ha protetto il torace, ma il volto e gli avambracci (radio e ulna bilaterali) si sono letteralmente frantumati sul sampietrino romano!

Dopo che li abbiamo aiutati (sghignazzando con discrezione anche noi) ci hanno regalato i peggiori souvenir che abbiamo mai visto: veramente kitsch, come siamo irriverenti con la nostra splendida città!