Le case racchiudono storie faticose
Dalla mia stanza sento le loro conversazioni nella sala d’aspetto. Toni alti e gentili, ma bellicosi; non mi piacciono, farei volentieri a meno di visitare questa nuova coppia. È diventata una modalità comune essere sempre e comunque polemici, non usare toni pacati e comprensivi, sempre uno sulla difensiva e l’altro all’attacco e poi il contrario.
Gentilissimi cortesi e quasi affettati con me, entrano e si siedono. Lei prende il sopravvento a breve, parla della sua vita, della sua salute e ogni tanto litigano, mi sfugge quale sia il denominatore comune di questi repentini alterchi, lui parte con mezza frase e l’atmosfera è surreale. Secondo me solo a momenti ricordano che io sono lì, forse sono talmente abituati a frequentarsi con queste modalità che il diverbio è l’unica loro possibile modalità di dialogo. O forse è una gran brutta giornata per loro, ma proprio oggi dovevano arrivare qui?
Provo a condurre la conversazione, ma con scarsi risultati. Lui decide e dice che starà zitto, parlerà di sé stesso in un altro nostro incontro senza di lei; lei maledice il momento in cui è andata in pensione e parla del suo tempo in casa, dell’avere mal di stomaco, cefalea, di essersi ingrassata, di avere ossa distrutte e poi giù con la pandemia e descrizione del loro tempo in casa. Lei mi racconta che non hanno figli e che fino a 3 anni fa, quando lavorava, si è sempre curata del suo aspetto e della sua salute, mi mostra analisi ematiche e strumentali buone per cui alla fine mi sembra che le sue nuove patologie siano somatizzazioni. Sento tante malignità sul marito che non capisco.
Decidono di tornare con le analisi che prescrivo e prego anch’io di tornare separatamente. Escono. Respiro, cerco di rilassarmi e dimenticare.
Il problema di essere medici è che bisogna schiarirsi il cervello ed entrare in un altro film molto velocemente, non perdere la concentrazione perché il caso successivo può non essere ugualmente semplice.
Qualche giorno dopo mi arrivano le analisi di lui con telefonata ed e-mail: è preoccupatissimo, non le faceva da 7-8 anni e i valori sono tutti fuori range – ma dicono una sola cosa. Lo convoco a visita e vado al sodo: beve alcolici?
La scena apre un’altra rappresentazione: “A colazione bevo caffè con sambuca, poi 4- 5 birre al mattino mentre gioco a bocce, tre bicchieri di vino ai pasti e il finale mentre si gioca a carte, la sera un tot di superalcoolici 4-5-6? boh! Poi si dorme.”
Non sembra consapevole di quel che mi racconta, ma giura che smetterà, è spaventato. Apro lo scenario dell’esistenza dei centri per la prevenzione dei danni epatici e dei tanti controlli e ricerche mediche e psicologiche che dovremo fare.
Torna dopo 5 settimane, è dimagrito 8 kg, asserisce di non toccare alcol da settimane e di essere andato in vacanza con la moglie in un ambiente rilassante e meraviglioso, le analisi confermano che qualcosa sta migliorando.
La casa nasconde, ma non ruba i disagi che sono e saranno sempre lì.
Dirmi subito che c’è un alcolista in casa, no?