Residenza anagrafica e diritti negati. Un aggiornamento sull’attuale situazione a Roma per i rifugiati

Ad oggi, diverse problematiche continuano ad impedire a molti titolari di protezione internazionale di ottenere una residenza anagrafica, rappresentando di fatto una barriera alla fruizione dei servizi e una condanna all’illegalità.
La situazione, già presente da molto tempo (come raccontato in un precedente articolo), necessita una risoluzione rapida e definitiva da parte delle istituzioni.
Nell’articolo, riassumiamo brevemente la questione e raccontiamo i casi di due utenti presentatisi stamattina presso il nostro Sportello Sociale.
La problematica della residenza anagrafica, che come abbiamo denunciato numerose volte negli ultimi anni costituisce spesso per i rifugiati e titolari di protezione internazionale un ostacolo insormontabile alla fruizione dei diritti, continua ad essere quanto mai attuale e spinosa.

Ad oggi, al contrario di quanto accadeva nel 2015, la Questura di Roma accoglie i rinnovi dei permessi di soggiorno per i titolari di protezione internazionale che presentano un indirizzo di residenza fittizio (alcuni enti e organizzazioni romane sono autorizzati a concedere degli indirizzi di residenza “fittizi”, cioè che non corrispondono all’effettivo luogo di abitazione, alle persone che vivono in situazioni di precarietà abitativa, al fine di garantire loro l’accesso ad alcuni servizi territoriali che altrimenti sarebbero loro esclusi). La situazione relativa alle residenze presso le occupazioni continua invece ad essere bloccata: la Legge Lupi (art. 5) impedisce a coloro che vivono presso le occupazioni abitative di ottenere la residenza presso l’occupazione stessa.

Questa barriera non interessa soltanto le persone che vivono all’interno di occupazioni o che sono senza fissa dimora, ma anche tutti coloro che vivono una realtà abitativa che potremmo definire più “normale”, come coloro che hanno un affitto in nero o che vivono in un centro di accoglienza temporaneo (la temporaneità dell’accoglienza impedisce al rifugiato o al richiedente asilo di acquisire la residenza anagrafica presso la struttura).

Le persone si trovano spesso in una situazione di completo stallo che non prevede facili soluzioni. Coloro che hanno amici proprietari di un appartamento possono sperare in una “cessione di fabbricato” gratuita: questa abitudine costituisce in pratica una forma di “residenza fittizia” non regolamentata e non accessibile a tutti. Com’è facile immaginare, non è raro che un padrone di casa senza scrupoli “venda” la cessione di fabbricato ai titolari di protezione internazionale che non riescono ad ottenere una residenza anagrafica in altro modo.
Soltanto stamattina, lo Sportello Sociale ha accolto due utenti che si vedono negati dei diritti per problematiche legate alla residenza.

F., un giovane ragazzo eritreo, è in Italia da qualche anno. Parla pochissimo italiano, ma molto bene inglese. È tra i fortunati che hanno trovato un posto nel circuito dell’accoglienza romano e dorme in un centro non lontano da una stazione della metro. Ha un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria che scade tra un mese, ed entro quella data deve trovare un indirizzo di residenza anagrafica che possa essere accettato dalla Questura. Poiché non è possibile richiedere la residenza presso la struttura in cui dorme, ha chiesto ad un suo conoscente una “cessione di fabbricato” a titolo di favore. La Questura si è però resa conto che il proprietario di casa ha già effettuato la cessione a diverse persone al fine del rinnovo del permesso di soggiorno, pertanto non lo ritiene valido. Gli operatori lo accompagneranno a Via degli Astalli per cercare di ottenere una residenza fittizia.

La storia di T. è più complessa. È in Italia da quasi dieci anni, è giovane, completamente solo, non ha mai lavorato con contratto regolare, Dublinato dalla Svizzera qualche anno fa, vive a Selam da anni. I suoi occhi parlano di sofferenza e di solitudine: il suo stato psicologico ha risentito dei traumi che ha affrontato prima e dopo il suo arrivo in Italia. A Marzo 2016 perde il suo permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, già scaduto. A quel punto si accorge che la sua residenza fittizia presso Via degli Astalli è stata cancellata per irreperibilità: per regolamento del Centro Astalli, non può ottenere una nuova residenza presso la struttura; oltretutto, per richiedere una residenza fittizia è necessario essere titolari di un permesso valido. T. non riesce a tirarsi fuori da questa situazione di stallo, la scarsa comprensione dell’italiano e il suo stato psicologico gli rendono difficile presenziare agli appuntamenti con la Questura. In questi ultimi tempi si è ripresentato allo sportello: a Febbraio ha appuntamento in Questura, dove insieme agli operatori di Cittadini del Mondo proverà a richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno. Con il cedolino del rinnovo, a quel punto, si tenterà di ottenere per lui una residenza fittizia.

La problematica della residenza rappresenta spesso un ostacolo al rinnovo dei permessi di soggiorno per protezione internazionale ed umanitaria. I titolari di questo tipo di documenti sono per definizione persone con storie traumatiche, in condizioni di fragilità, a cui lo Stato deve garantire una protezione: impedire il rinnovo di un permesso di soggiorno per asilo politico significa ostacolare la protezione internazionale stessa e condannare i rifugiati ad una condizione di irregolarità da cui è possibile uscire (forse) solo tramite un arduo pellegrinaggio di servizio in servizio.

Cittadini del Mondo continua a ritenere che questa situazione sia inaccettabile. Gli ostacoli burocratici legati alla residenza dovrebbero essere superati in virtù del fine ultimo di difendere lo status dei titolari di protezione internazionale. Coloro che vivono in situazioni abitative precarie dovrebbero poter ottenere facilmente delle residenze fittizie presso il Municipio di Roma dove abitano (ad esempio, “Via Modesta Valenti“); le residenze fittizie dovrebbero inoltre essere rilasciate dalle istituzioni stesse, e non delegate al privato sociale.